Chicago: dietro il sipario – Intervista a Saverio Marconi
maggio 25, 2019In occasione della messa in scena del musical Chicago presso il teatro Duse, abbiamo intervistato il regista Saverio Marconi , il quale ci ha raccontato i motivi per cui si è scelto di riproporre questo spettacolo e alcune delle ragioni per cui rimanga un evento imperdibile.
Per quale motivo avete deciso di riportare in scena Chicago?
Chicago nasce dal progetto di una scuola (La Bernstein School of Musical Theater di Bologna) che ogni anno sceglie alcuni titoli da portare in scena a seconda. Ogni anno vengono proposti dei temi e si opera una scelta in quella direzione . In questo caso la scelta di Chicago è stata anche motivata dal fatto che si tratti di un classico, che in Italia è stato rappresentato una sola volta nella versione originale del ’96.
Il successo di Chicago non è stato immediato, ma è maturato nel corso del tempo. Probabilmente anche a causa dei suoi temi eccessivamente moderni per l’epoca. Cosa rende questa storia ancora attuale?
Chicago è andato in scena per la prima volta nel ’75, così come di Chorus Line, un anno quindi molto importante. Resta uno spettacolo attuale perché il suo tema fondamentale è quello della notorietà. Il quale viene espresso attraverso i personaggi di queste donne incarcerate per aver ammazzato i propri compagni ed amanti, donne che sfruttano l’onda mediatica generata dai loro crimini per salvarsi e conquistare la notorietà. Uno sottotitolo adatto potrebbe essere “Ipocrisia”. L’unico personaggio onesto e con un cuore, viene invece considerato uno stupido, una persona che non si vede, che non c’è e viene eliminata dall’immaginario. Il tema resta quindi molto attuale e per questo motivo non lo abbiamo collocato in un periodo preciso, preferendo rimanere vaghi riguardo all’epoca.
Questa nuova versione si propone come una via di mezzo tra il musical originale e il film di Rob Marshall. Quali sono le influenze derivanti da entrambi?
Beh, il testo è bellissimo. Gli autori della musica(Kander&Ebb) sono gli stessi di Cabaret, a cui io ho lavorato per tre edizioni differenti e quindi conosco molto bene. La traccia del testo è fondamentale, noi ci siamo basati principalmente sul revival del ’96. Non bisogna dimenticare che quella versione è nata come un concerto, il quale ha avuto un successo enorme ed è una versione piena di particolari e di dettagli. Veramente bellissima, io ho avuto la possibilità di assistervi sia a Broadway che a Londra. Ma è una versione dello spettacolo sotto forma di concerto. Il film è invece molto più legato alla storia, una narrazione unita a dei numeri musicali.
Un aspetto importante che caratterizza Chicago (musical) è il fatto che si tratti di un’opera di vaudeville, dove ogni numero e l’esibizione di ogni personaggio si inserisce in uno spettacolo di varietà. Questa fu un’idea meravigliosa di Bob Fosse, per la quale quello che succede sul palco è soltanto spettacolo.
Ci sono invece degli aspetti in cui presenta delle nette differenze rispetto alla versione che lo hanno preceduto?
No, non è presente alcuna variazione perché la versione che adoperiamo nella traduzione sia del testo che delle canzoni è quella ufficiale italiana del ’96, quando l’edizione americana arrivò in Italia tradotta.
Le coreografie sono curate da Gillian Bruce e la direzione musicale è affidata a Shawna Farrel. Qual è il rapporto tra lei e queste altre figure?
Shawna Farrel è anche la direttrice della scuola, quindi è ovvio che conosca molto bene i suoi allievi. Una professionista che conosce perfettamente il musical in tutte le sue sfumature ed una persona con una grande creatività. Riguardo a Gillian Bruce, ho potuto lavorare con lei in tantissimi altri spettacoli e anche lei è una delle insegnanti di questa scuola, quindi c’è una collaborazione che esiste da molto tempo. Ci capiamo bene ed è fondamentale perché nel costruire un musical non si è mai da soli. Ci vuole sempre un direttore musicale, un coreografo, uno scenografo, un live designer… tutte persone che lavorano insieme e il regista non è altro che un collante per queste figure professionali.
Siamo una rivista che si occupa anche di viaggio, quindi prestiamo una certa importanza anche ai luoghi. In questo caso quanti è importante l’ambientazione della città di Chicago?
Assolutamente pochissimo, purtroppo. Sono stato a Chicago e l’ho trovata molto bella, con questo centro all’aperto per concerti, un grande lago davanti e altri luoghi che mi sono piaciuti moltissimo. Però nello spettacolo Chicago è sinonimo di mondo, più che di città. Non emerge una collocazione precisa, è Chicago ma potrebbe essere qualsiasi altro posto.
Ci saranno delle tappe che faranno seguito a quella bolognese?
No, il percorso finisce qui perché si tratta dell’atto conclusivo del terzo anno della Bernstein School. Quindi consiglio a tutti di approfittare di queste date e di venire al Teatro Duse in questi giorni perché rischiano di non vederlo.
Chicago andrà in scena al Teatro Duse venerdì 24 e sabato 25 maggio alle ore 21.00 e domenica 26 maggio alle ore 16.00
Andrea Pedrazzi