Intervista a Elena Radonichich: “Per ogni storia c’è un luogo perfetto”

Intervista a Elena Radonichich: “Per ogni storia c’è un luogo perfetto”

febbraio 18, 2020 0 Di Andrea Pedrazzi

Ha inizio quasi per caso il percorso che porta Elena Radonichich, originaria di Moncalieri, ad essere un’attrice affermata nel panorama cinematografico e televisivo italiano. Ancora immersa negli studi universitari e orientata verso uno stile di vita “non entusiasmante”, viene affascinata dall’attività di un’amica trasferitasi a Roma per frequentare un prestigioso corso di recitazione. In seguito all’emersione di una “sana invidia”, decide di tentare l’approccio all’ambito attoriale iscrivendosi ad una scuola di Torino:

Ho iniziato a diciannove anni, è stata un’esperienza molto forte. Avevo già delle velleità artistiche e l’ideale era quella di poter rendere un lavoro qualcosa che non lo era, perché considerata una passione, ma inizialmente non immaginavo che questa strada potesse essere qualcosa di reale. Non la consideravo una vera possibilità, ma poi scoprii che c’erano delle scuole pubbliche e la speranza si concretizzò. Feci domanda al Centro Sperimentale di Cinematografia (a Roma) e mi presero. La selezione era molto ardua, ma venni presa e questo ovviamente mi diede un’ulteriore forza e consapevolezza. Lasciai la mia vita e mi imbarcai in questa avventura. Avevo 21 anni allora ed era veramente una pazzia.

Frequentare per tre anni quella che rimane la scuola di cinema più celebre d’Italia porta inevitabilmente dei cambiamenti nella vita di Elena:

Mi sono avvicinata a questa attività, ma anche a me stessa. Ho sviluppato una maggiore coscienza e acquisito un nuovo modo di vedere il mondo. È stata una grande fortuna, perché ho imparato a conoscere gli altri attraverso il metro dell’empatia, la quale è fondamentale in questo lavoro che ti porta a metterti nei panni degli altri e quindi ad abbandonare qualsiasi tipo di pregiudizio.

Un’esperienza di maturazione a cui sono presto seguiti i primi lavori, i quali sono giunti nella maniera “più banale possibile, ovvero facendo dei provini e vincendoli”, in un periodo comunque non facile, per quanto vicino, che si mostrava piuttosto diverso dalla realtà di adesso:

Ora c’è una vasta offerta e di conseguenza una richiesta molto elevata, basti pensare all’enorme produzione di serie per le varie piattaforme. Esse hanno quindi moltiplicato le proposte e di conseguenza anche le nostre possibilità. Quindici anni fa era un po’ diverso: c’era la RAI, qualcosina su Mediaset o alcuni film realizzati sempre dalle stesse persone. Il bacino a cui accedere per avere lavoro era molto più piccolo. Poi non c’erano nemmeno strumenti come i social, in grado di espandere il rapporto con il pubblico e in grado anche di generare delle innovazioni forti riguardo ai prodotti. Ci sono delle persone che ad esempio diventano famose sul web e che poi vengono coinvolte in film, spesso di scarso successo.

Nonostante le numerose difficoltà la carriera attoriale di Elena Radonichich riesce a decollare e si stabilizza in un terreno che abbraccia quasi in egual misura cinema e televisione (dove ottiene quelli che sono probabilmente i suoi ruoli più noti in opere come Il commissario Montalbano, Fabrizio De André – Principe libero oppure 1992 o relativi seguiti), toccando anche il teatro. Interrogata su quale sia l’ambito prediletto, Elena risponde senza esitazione:

Io ho studiato cinema e mi trovo più a mio agio con questo mezzo, ma mi dedico anche ad altre esperienze. Ora per esempio sono reduce dallo spettacolo teatrale “l’onore perduto di Katharina Blum”, con il quale sono stata in una lunga tournée nella quale ho ricoperto un ruolo molto importante. È stata un’esperienza galvanizzante. Mi ha dato una percezione nuova della realtà e del senso di questo mestiere che mi ha molto entusiasmato. Il fatto della performance che non si brucia sul momento, ma che viene riproposta, mi ha permesso di trovare ogni volta qualcosa di nuovo e ciò è stato molto istruttivo. Quindi devo dire che non prediligo una forma, ma dipende molto dal momento storico e da quello che faccio volta per volta. Recitare è eccitante ogni volta che ci sono studio e competenza da parte delle persone che creano il lavoro. In caso contrario, quando vengono a mancare le componenti necessarie, sia il cinema che la televisione o il teatro possono diventare dei luoghi di noia assoluta. La discriminante non è il mezzo ma la modalità.

Dal momento che nella sua carriera ha preso parte anche a diversi cortometraggi, come L’ultima cena (2009) di Piero Messina o il recente La strada vecchia (2019) di Damiano Giacomelli, le chiediamo anche quali sia il suo rapporto con questa tipologia di prodotto e se, secondo lei, il cortometraggio sia adeguatamente valorizzato nel nostro Paese.

No, non credo lo sia. È un prodotto di nicchia che viene spesso sfruttato dagli autori emergenti per avere poi prodotto un lungometraggio e lo si può rintracciare soltanto all’interno dei festival o sulle varie piattaforme, nei rari casi in cui vengono distribuiti, o talvolta in altri canali ma sempre con una diffusione limitata. Però, avendo partecipato a moltissimi cortometraggi, posso dire con certezza che si tratti di opere che consentono una grande sperimentazione. C’è più libertà rispetto ad un film, c’è un maggiore spazio creativo e li reputo una grande possibilità d’incontro. Inoltre offrono la possibilità di raccontare storie che altrove magari non troverebbero spazio perchè ritenute inadatte, per esempio per un lungo. Nel cortometraggio invece la sperimentazione mi sembra la premessa. Non è un piccolo film, sarebbe come dire che il racconto è un piccolo romanzo. Per come la vedo io un film compiuto ed un cortometraggio compiuto sono due cose totalmente diverse e devono rispettare strutture diverse. Anche il cortometraggio ha i suoi criteri e, se mal eseguito, il fatto che sia breve non lo salva dalla noia.
Anche nei corti è richiesta una grande professionalità: io spesso ho lavorato con dei registi con cui mi sono poi trovata a collaborare successivamente e credo che l’esperienza del corto sia stata fondamentale per maturare competenze, oltre che visibilità. Lavorando ai corti si può spesso respirare quel clima di condivisione in cui tutti concorrono alla riuscita dell’opera, in una struttura un po’ meno gerarchica rispetto alle grandi produzione dei lunghi. Per queste ragioni io sono una grande sostenitrice dei corti.

Come di consuetudine, su questa rivista che alla passione per il cinema accosta quella per il turismo, concludiamo chiedendo a Elena se nella sua carriera o vita privata abbia mai incontrato dei luoghi che l’abbiano colpita particolarmente. Anche in questo caso la risposta è molto interessante:

Per me i luoghi più affascinanti dal punto di vista cinematografico, quelli che generano più senso e riescono a stimolare un certo stato emotivo, spesso non sono quelli in cui starei magari in vacanza. Non sono necessariamente quelli che trasudano bellezza. Circa cinque anni fa ho girato un film intitolato appunto “Banat – il viaggio” di Adriano Valerio, le cui riprese si sono svolte tra Romania, Macedonia e una parte a Bari. In quell’occasione sono rimasta colpita dalla città di Târgoviște (in Romania), un luogo di rara bruttezza oltre che freddissimo dato che era febbraio. Un posto deprimente come pochi, che però mi ha estremamente affascinata, fino a diventare parte dell’interpretazione. Non ci andrei mai in vacanza, ma ci sono molto affezionata. Se invece vi dovessi citare un posto meraviglioso, questo sarebbe la Sicilia, che ho visitato per molti anni e chi mette un’allegria assoluta. Però non sono sicura che questo vada a braccetto con il raccontare delle storie. Per ogni storia c’è un luogo perfetto. Per esempio io ho girato anche a Trieste, che cinematograficamente è molto interessante, per la sua architettura particolare ed i suoi colori che la rendono riconoscibile, affascinante, altera. Ci sono invece altre città che magari sono bellissime, ma sotto l’aspetto cinematografico non sono così pregnanti, o magari riportano ad altri pensieri. Il loro fascino sotto questo aspetto non dipende dalla bellezza, dal mio punto di vista sono valori disgiunti.

Andrea Pedrazzi